La rettifica dell’avviamento secondo il metodo del D.P.R. 460/1996, a 10 anni dalla sentenza n. 613/2006

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Da “Il Commercialista Veneto” n. 230

1.      Premessa

La cessione d’azienda (o di un suo ramo) rappresenta un’operazione esclusa dal campo d’applicazione dell’IVA.[1] È per questo applicabile l’imposta di registro[2] proporzionale,[3] la cui base imponibile[4] è pari al valore venale[5] in comune commercio.[6] Questo è formato dal valore complessivo dei singoli beni che compongono l’azienda (incluso l’avviamento), al netto delle passività risultanti dalle scritture contabili.[7] L’importo può essere rettificato dall’Agenzia delle Entrate mediante un avviso di liquidazione qualora essa ritenga che il valore venale[8] sia superiore al quantum pagato.[9] Tra le modalità con cui gli Uffici procedono alla rettifica, vi è  la metodologia di cui all’articolo 2 comma 4 dell’abrogato D.P.R. 460/1996 (d’ora in poi “il regolamento”), emanato[10] per “la determinazione delle modalità di accertamento con adesione riferito alle imposte sulle successioni e donazioni, di registro, ipotecaria, catastale e comunale sull’incremento di valore degli immobili.”

Limitatamente alla determinazione dell’avviamento ai fini dell’imposta di registro, l’articolo 2 comma 4 del regolamento aveva il seguente dispositivo:

“Per le aziende e per i diritti reali su di esse il valore di avviamento è determinato sulla base degli elementi desunti dagli studi di settore o, in difetto, sulla base della percentuale di redditività applicata alla media dei ricavi accertati o, in mancanza, dichiarati ai fini delle imposte sui redditi negli ultimi tre periodi d’imposta anteriori a quello in cui è intervenuto il trasferimento, moltiplicata per 3. La percentuale di redditività non può essere inferiore al rapporto tra il reddito d’impresa e i ricavi accertati o, in mancanza, dichiarati ai fini delle stesse imposte e nel medesimo periodo. Il moltiplicatore è ridotto a 2 nel caso in cui emergano elementi validamente documentati e, comunque, nel caso in cui ricorra almeno una delle seguenti situazioni:

  1. a) l’attività sia stata iniziata entro i tre periodi d’imposta precedenti a quello in cui è intervenuto il trasferimento;
  2. b) l’attività non sia stata esercitata, nell’ultimo periodo precedente a quello in cui è intervenuto il trasferimento, per almeno la metà del normale periodo di svolgimento dell’attività stessa;
  3. c) la durata residua del contratto di locazione dei locali, nei quali è svolta l’attività, sia inferiore a dodici mesi.”

Il regolamento è stato in seguito abrogato ad opera del D.L. 218/1997.[11]

2.      La prassi delle Entrate e la giurisprudenza di legittimità

Malgrado l’abrogazione del DPR 460/1996 l’Agenzia delle Entrate, con la circolare interna n. 52 del 25 luglio 2003, ha stabilito che, nell’espletamento delle operazioni di controllo ex articolo 51 comma 4 del TUR, particolare attenzione dovesse essere posta ai casi in cui il valore dichiarato dall’atto risultasse inferiore al valore dell’avviamento calcolato secondo il metodo del regolamento.[12] Da proxy su cui basare i controlli, gli Uffici lo hanno poi trasformato in un vero e proprio metodo di rideterminazione del valore dell’avviamento su cui basare gli avvisi di liquidazione. All’obiezione della sua inidoneità a rappresentare correttamente la realtà aziendale, la Suprema Corte ha costantemente, a partire dalla Sentenza 613/2006,[13] affermato come la valutazione dell’avviamento sia frutto di un giudizio estimativo rimesso al prudente apprezzamento del giudice di merito, “rientrando suddetto apprezzamento nei generali poteri conferiti al giudice dagli artt. 115 e 116 cod. proc. Civ.”[14], essendo il vigente ordinamento “dominato dal principio del libero convincimento del giudice […]”.[15] Tale giudizio è immune dal sindacato di legittimità se adeguatamente motivato, e i parametri dell’articolo 2 comma 4 del regolamento soddisfano i requisiti di adeguata motivazione: il metodo si fonda infatti su “criteri di valutazione recepiti […] e avallati dal legislatore”, a prescindere dal fatto che provengano da una norma abrogata e originariamente riferita a diversa fattispecie[16] poiché, “come tutti i metodi pratici di calcolo, lascia sussistere un certo margine di approssimazione, verificabile, come ogni altro modello valutativo”.[17]

Deve essere sottolineato però che nella citata sentenza 613/2006, spesso richiamata degli avvisi di liquidazione emessi dall’Agenzia delle Entrate, la Suprema Corte ha evidenziato come il contribuente si sia limitato a contestare “solo il criterio di valutazione senza fornire alcuna dimostrazione della erroneità della valutazione in base a criteri diversi, […] e della inutilizzabilità dei criteri di cui al DPR 460/1996, critiche che comunque non si traducono nella dimostrazione della infondatezza della pretesa dell’Ufficio del registro attraverso l’utilizzazione di criteri non dell’Ufficio”. In quest’ambito, dal momento che il contribuente ha solamente contestato l’invalidità tout-court del metodo senza l’indicazione di criteri diversi che provassero l’inidoneità al caso pratico della pretesa erariale, né contestando gli elementi posti alla base di tale valutazione, l’unico metodo su cui il giudice di merito ha basato il proprio giudizio è il metodo di cui all’articolo 2 comma 4 del regolamento. La centralità del libero convincimento nelle fattispecie riguardanti l’avviamento è confermato, a parti invertite, nell’Ordinanza della Cassazione n.26550/2011, in cui la Suprema Corte ha rigettato il ricorso in cui l’Ufficio denunciava un difetto di motivazione della sentenza, poiché il giudice ha basato il proprio convincimento su “considerazioni estimative che […] non trovano alcuna confutazione specifica nelle difese spiegate in appello dall’Ufficio”.

3.      L’inidoneità del metodo dovuto dalla sua natura standardizzata

A parere di chi scrive, il filone giurisprudenziale conseguente alla Sentenza 613/2006 – e a tutt’oggi seguito – ben poco si adatta al contesto odierno in tema di accertamenti basati su presunzioni. Invero, la rettifica prevista regolamento pare affatto simile alle procedure di accertamento standardizzato quali i parametri o gli studi di settore, affinità confermata dalla lettura dello stesso articolo 2 comma 4 del regolamento, da cui risulta che il metodo era, in origine, utilizzabile esclusivamente in via residuale rispetto a quanto desumibile dagli studi di settore. È ragionevole ritenere che il Legislatore avesse introdotto un procedimento standardizzato di rideterminazione dell’avviamento ponendo al primo posto, in un’ideale scala gerarchica di affidabilità, innanzi tutto i dati di “normalità” economica derivanti dagli studi di settore e riconducibili al cluster specifico di appartenenza, e in loro assenza un indice generalizzato di normalità dell’avviamento: la formula del regolamento. La ratio è in linea con la visione ottimistica del tempo riguardo alla portata degli studi, che secondo il Ministero delle Finanze eliminavano “ogni elemento di incertezza statistica”. Bisogna infatti tenere a mente che la 613/2006 è stata emessa in un periodo in cui gli studi di settore e parametri avevano valenza di presunzione relativa,[18] e non di presunzione semplice. Ci sono voluti alcuni anni, con la novella apportata dalla Finanziaria 2008 e con la Sentenza della Cassazione n.26635 del 18/12/2009, perché diventasse pacifico che  “la procedura di accertamento tributario standardizzato mediante l’applicazione dei parametri o degli studi di settore costituisce un sistema di presunzioni semplici”, la cui valenza istruttoria “non è ex lege determinata dallo scostamento del reddito dichiarato rispetto agli standard in sé considerati – meri strumenti di ricostruzione per elaborazione statistica della normale redditività – ma nasce solo in esito al contraddittorio da attivare obbligatoriamente con il contribuente, pena la nullità dell’accertamento”.

4.      L’inidoneità del metodo dovuto alla sua non-aderenza alle “best practices” valutative

A questo riguardo, sorge però la necessità di conciliare la validità teorica dei criteri di cui al regolamento, confermata a più riprese dalla Suprema Corte, con la natura standardizzata del metodo di rettifica ex articolo 2 comma 4 del regolamento, e che in quanto tale oggi dovrebbe essere considerato inidoneo se non confermato in sede di contraddittorio. Può soccorrere lo spostare l’interesse dall’analisi dalla idoneità del metodo ex se, all’idoneità di ciò che la Cassazione nella 613/2006 aveva definito come gli “elementi di fatto costituiti dalle emergenze documentali afferenti agli affari per gli anni [in oggetto], il personale dipendente, i profitti decrescenti, e il margine netto per le spese di attività,” parte di ciò che l’Organismo Italiano di Valutazione[19] (OIV) fa rientrare nella c.d. “Base Informativa”.

Questo spostamento dell’oggetto di analisi ha implicazioni pratiche notevoli perché:

  1. essendo il metodo del regolamento considerato dalla giurisprudenza di legittimità alla stregua di ogni altro modello di valutazione e,
  2. come tale, astrattamente idoneo a rappresentare l’effettiva redditività d’impresa, ed
  3. essendo la sua validità, così come quella di ogni altro metodo, rimessa al prudente apprezzamento del giudice di merito,

ne consegue che il giudice può anche dichiararne l’inidoneità qualora gli “elementi in grado di stabilire l’effettiva redditività d’impresa”[20] utilizzati nel calcolo, ossia la base informativa, non risultino ragionevolmente obiettivi,  completi[21] e coerenti.[22] Sul punto, costante giurisprudenza di legittimità ha confermato che i valori risultanti da accertamenti standardizzati sono “inidonei a supportare l’accertamento medesimo, ove contestati sulla base di allegazioni specifiche, se non confortati da elementi concreti desunti dalla realtà economica dell’impresa”.[23] Ma essendo proprio il contradditorio “l’elemento determinante per adeguare alla concreta realtà economica del singolo contribuente l’ipotesi [considerata]”,[24] ne deriva che in sua assenza il metodo aritmetico del decreto è sì astrattamente idoneo (come ogni altro metodo) a dare una valorizzazione coerente, ma lo stesso non si potrà dire dei dati posti a suo fondamento – la base informativa – con conseguente inidoneità pratica dello strumento. Per fare un parallelo con la dottrina aziendalistica, il contraddittorio endoprocedimentale può essere considerato come l’applicazione dell’analisi fondamentale, che è “la raccolta e l’esame sistematico degli elementi informativi necessari all’individuazione degli input richiesti dai metodi di valutazione.”[25] Più in dettaglio, l’analisi fondamentale è quel “processo che organizza le informazioni (previamente raccolte nelle basi informative), le seleziona, controlla, elabora, le interpreta, ne compone le (eventuali) contraddizioni, ne giudica l’affidabilità; le traduce infine in strumenti idonei per una previsione efficiente”.[26]

In ragione di ciò, mancando al metodo del regolamento la fase di analisi fondamentale, l’obiezione che esso sia congruo a descrivere correttamente la realtà d’impresa non può essere perciò considerata corretta, pur utilizzando elementi di carattere oggettivo come i ricavi e i redditi dichiarati. Infatti, essendo il metodo del regolamento considerato alla stregua di ogni altro metodo valutativo, deve anch’esso esprimere un giudizio informato,[27] quindi basato su un’analisi critica della base informativa[28] che non si può ritenere esistente in un procedimento automatizzato. Come influente dottrina ha sottolineato, “anche la più ricca ed ampia delle basi informative sarebbe una massa inerte di dati e notizie, [senza] un’accurata ed efficace analisi fondamentale.”[29]

5.      La necessarietà del contraddittorio endoprocedimentale

A mio giudizio, quindi, l’avviso di liquidazione emesso a rettifica dell’avviamento ai fini dell’imposta di registro che utilizzi il metodo di cui all’articolo 2 comma 4 del regolamento deve ritenersi nullo in assenza di un contraddittorio preventivo all’emissione dell’atto stesso, innanzi tutto perché atto derivante da un procedimento di accertamento “standardizzato” e, inoltre, per la natura presuntiva e non confermata degli elementi utilizzati.

Un primo motivo a riprova dell’obbligatorietà del contradditorio endoprocedimentale è che, se il metodo di cui all’Art. 2, comma 4, D.P.R. n. 460/1996 non fosse stato abrogato, l’avviso di liquidazione ai sensi del citato articolo sarebbe emesso basandosi sugli studi di settore e, solo in loro assenza, sulla formula residuale. Adattandosi alla giurisprudenza ormai consolidata della Suprema Corte, nel caso di rettifica fondata sugli studi di settore l’avviso di liquidazione dovrebbe essere preceduto da un invito al contraddittorio. Una lettura logico-sistematica vuole perciò che se lo strumento “principe” di determinazione dell’avviamento necessita di contraddittorio preventivo, lo stesso valga per lo strumento residuale e tecnicamente meno “raffinato” (in quanto formula “statica” e non “statistica”) della percentuale di redditività.  Ciò deve valere a prescindere dall’abrogazione della norma istitutrice: infatti, se la Suprema Corte giustifica l’utilizzo “postumo” del metodo in quanto avallato dal legislatore, non si può dimenticare che tale avallo deriva dal suo a) essere stato recepito in un corpus normativo e, b) avere una ratio ben precisa.

In merito al punto a), il regolamento era stato emanato “per l’attuazione delle disposizioni previste in materia di accertamento con adesione”.[30] Al riguardo, è importante sottolineare che il richiamo normativo all’istituto dell’accertamento con adesione è una delle “specifiche caratteristiche ontologiche e normative” che la recente Sentenza 24823/2015 delle Sezioni Unite pone alla base dell’obbligatorietà del contraddittorio endoprocedimentale in tema di accertamenti standardizzati.

Per quanto riguarda il punto b), il regolamento aveva “la finalità di individuare con criteri sistematici un punto di incontro tra l’amministrazione finanziaria e il contribuente nell’ambito di una procedura conciliatoria quale l’accertamento con adesione,”[31] basate su “parametri oggettivi, […] idonei a realizzare la massima trasparenza e aderenza alla realtà economica dei valori oggetto della rettifica”.[32] È quindi con lo scopo di agevolare il giusto procedimento tra amministrazione finanziaria e contribuente che, con riferimento al metodo del regolamento, “nel caso in cui emergano elementi validamente documentati,” “il moltiplicatore è ridotto a 2”.[33] Considerato quindi che per le Sezioni Unite “in materia di accertamento standardizzato, il contraddittorio deve ritenersi un elemento essenziale e imprescindibile (anche in assenza di una espressa previsione normativa) del giusto procedimento che legittima l’azione amministrativa”,[34] esso risulta giocoforza necessario.

Tra l’altro, la stessa possibilità di ridurre a 2 il moltiplicatore della formula nel caso in cui emergano elementi validamente documentati conferma l’importanza della corretta rilevazione degli elementi di fatto su cui è fondato il metodo, oltre a confermare che il legislatore, in fase di stesura della norma, era consapevole dell’insufficienza ai fini della valutazione dei soli ricavi e redditi dichiarati, se non integrati da elementi “extra dichiarativi.” L’obiezione che tali apprezzamenti possano comunque essere esperiti in un momento successivo all’emissione dell’atto di liquidazione è ormai fugato dalla giurisprudenza, secondo la quale “è vano addurre […] l’esistenza di ulteriori strumenti di tutela per il contribuente (istanza di autotutela, accertamento con adesione, ecc.).”[35] Infatti, successivamente all’emissione dell’avviso di liquidazione, “il contribuente risulta (ormai) pregiudicato dalla circostanza che l’accertamento ricevuto non abbia potuto tenere conto delle sue ragioni, adducibili ante accertamento.”[36] Nondimeno, la considerazione degli elementi validamente documentati in sede di emissione dell’avviso di liquidazione non risponde al solo interesse del contribuente, ma anche dell’Ufficio stesso, poiché il contraddittorio endoprocendimentale garantisce “il migliore esercizio della potestà impositiva, il quale, nell’interesse anche dell’ente impositore, risulterà tanto più efficace, quanto più si rivelerà conformato ed adeguato – proprio in virtù del dialogo tra le parti, ove reso possibile – alla situazione del contribuente, con evidenti riflessi positivi anche in termini di deflazione del contenzioso (se non, ancor prima, nel senso di indurre l’amministrazione ad astenersi da pretese tributarie ritenute alfine infondate).”[37] Questi principi sono peraltro ormai fatti propri dalla stessa Agenzia delle entrate, secondo la cui Circolare n. 25/E del 6 giugno 2014 “un adeguato confronto con il contribuente permette all’ufficio di individuare con maggior attendibilità la sussistenza dei presupposti dell’atto in corso di definizione, con effetti positivi diretti sull’affidabilità dei controlli.”

Nella già citata sentenza 24823/2015, in cui la Cassazione a Sezioni Unite ha sancito l’inesistenza di un obbligo generalizzato di contraddittorio, la Corte ha confermato chiaramente l’orientamento che ne prevede invece l’obbligatorietà in caso di accertamenti standardizzati. Essa nota, in un capitolo non a caso denominato “Pretese distonie”, che, “diversamente da quanto sembra ipotizzare l’ordinanza interlocutoria”, non vi è alcuna “pronuncia anche soltanto vagamente distonica” nella giurisprudenza di legittimità rispetto a tale posizione, la quale è fondata “non sul presupposto della vigenza nell’ordinamento di una clausola generale di contraddittorio endoprocedimentale, bensì in considerazione delle specifiche caratteristiche ontologiche e normative di detti accertamenti.”

Tale ragionamento può essere confermato poi, a fortiori, qualora l’avviso di liquidazione che utilizzasse il metodo ex articolo 2 comma 4 del regolamento fosse basato su “elementi di fatto” ottenuti non già dai ricavi e dal reddito dichiarato, ma bensì su redditi normalizzati mediante l’applicazione dei ricavi minimi ai fini degli studi di settore, prassi ultimamente in uso agli Uffici delle Entrate. In questo scenario, anche non accettando la natura di “presunzione semplice la cui gravità, precisione e concordanza non sia “ex lege”” del metodo previsto dal regolamento, l’avviso di liquidazione sarà valido solo se preceduto da un invito al contraddittorio avente ad oggetto le risultanze degli studi di settore su cui il metodo è costruito. Difatti, essendo questo un caso di accertamento/liquidazione basato sugli studi di settore, la necessità di contraddittorio endoprocedimentale è previsto dalla legge,[38] confermato da costante giurisprudenza di legittimità,[39] nonché recepito dalla stessa prassi dell’Agenzia delle Entrate.[40]

6.      Conclusioni

Nonostante la sua natura standardizzata, la metodologia di cui all’articolo 2 comma 4 dell’abrogato DPR 460/1996, a partire dalla Sentenza 613/2006, è considerata valida alla stregua degli altri metodi di valutazione d’azienda, ed è quindi una motivazione valida per la formazione del libero convincimento del giudice di merito. All’epoca della pronuncia, ciò era coerente con la natura di presunzione relativa, quindi valida fino a prova contraria, degli accertamenti standardizzati. Tale impostazione non è più sostenibile in assenza di contraddittorio, vista l’evoluzione normativa e giurisprudenziale che, stante le specifiche caratteristiche ontologiche e normative dell’accertamento standardizzato, ne prevede la necessità. Anche da un punto di vista aziendalistico il contraddittorio preventivo, agendo a guisa di analisi fondamentale della base informativa, controlla e convalida le ipotesi poste alla base del metodo prescelto, determinandone la applicabilità alla concreta realtà economica del contribuente. Ciò è ancor più vero nel caso in cui il metodo del regolamento utilizzi, in luogo dei ricavi e dell’utile dichiarato, i ricavi minimi ai fini degli studi di settore: in questo caso non può a maggior ragione ritenersi valido l’avviso di liquidazione emesso in assenza di contraddittorio, contravvenendo ad espressa previsione normativa. Che sia forse giunto il momento di “aggiornare” il filone giurisprudenziale derivato dalla Sentenza 613/2006, a un decennio esatto dalla sua pronuncia?

[1] Ai sensi dell’articolo 2, comma 3 lettera b) del D.P.R. 633/1972, che a sua volta recepisce l’ex articolo 5 paragrafo 8 della VI Direttiva CEE, ora confluito nell’articolo 19 della Direttiva 2006/112/CE.

[2] Secondo il c.d. “principio di alternatività registro/IVA”, come disciplinato dagli articoli 5 e 40 del TUR.

[3] Come previsto dagli articoli 2 e 3 del D.P.R. 131/1986 (TUR)

[4] Determinata dagli articoli 43 e 51 del TUR.

[5] Per una disamina sulla differenza tra valore e prezzo di vendita si veda F. Gallo, “Valore e Corrispettivo nella Cessione di Azienda”, Il Commercialista Veneto n.288, Novembre/Dicembre 2015.

[6] Così come dichiarato dalle parti nell’atto o, se superiore dal corrispettivo pattuito.

[7] L’articolo 23 comma 4 del TUR specifica che le passività si imputano ai diversi beni sia mobili che immobili in proporzione del loro rispettivo valore, e non per “inerenza”

[8] Articolo 51 comma 4 del TUR.

[9] Articolo 52 del TUR.

[10] In attuazione del l’art. 2-ter, comma 2, del decreto-legge 30 settembre 1994, n. 564, convertito con legge 30 novembre 1994, n. 656.

[11] Nella cui circolare esplicativa 235/1997 era tra l’altro previsto che “Per quanto attiene ai criteri di valutazione dell’avviamento delle aziende, si fa riserva di successive specifiche indicazioni.”

[12] D. Balducci, “Cessione e Conferimento d’Azienda”, pag. 281-282.

[13] Si veda ex multiis Cass. Civ, Sez. V, sent. 613 del 13/01/2006; Cass. Civ, Sez. V, sent.16705 del 27/07/2007; Cass. Civ, Sez. V, sent. 1170 del 21/01/2008; Cass. Civ, Sez. V, sent. 20280 del 23/07/2008; Cass. Civ, Sez. V, sent. 4931 del 27/03/2012; Cass. Civ, Sez. V, sent. 9149 del 23/04/2014.

[14] Cass. 613/2006, richiamando Cass 11354/2001, si veda anche più recente Cass. 9149/2014.

[15] Cassazione Civile, Sez V Ordinanza 26550 del 12/12/2011.

[16] Cassazione Civile Sez. V, sent. 613 del 13/01/2006.

[17] Cassazione Civile, Sez V, sent. 9149 23/04/2014.

[18] Sino al decreto legge n. 81 del 2 luglio 2007 e dalla legge finanziaria per il 2008: si veda il punto 1.4 della Circolare 11/E del 16/2/2007 e il punto 2.2 della Circolare 31/E/2007; e comunque fino alle definitive pronunce delle Sezioni Unite n. 26635, n. 26636, n. 26637 e n. 26638, depositate il 18/12/2009.

[19] Un’autorevole Fondazione indipendente senza scopo di lucro promossa da AIAF, ANDAF, Assirevi, Borsa Italiana, CNDCEC e Università Bocconi, il cui scopo consiste nel promuovere la qualità delle valutazioni.

[20] Cassazione Civile, Sez. V, sentenza 1249 22/01/ 2014

[21] Si veda il Principio I.5.1 dei Principi Italiani di Valutazione (PIV).

[22] Principio I.5.3 dei PIV.

[23] Cassazione Sezioni Unite n. 26635, n. 26636, n. 26637 e n. 26638, depositate il 18/12/2009

[24] Id.

[25] Commento al Principio I.4.3 dei PIV.

[26] L. Guatri, M. Bini, “Nuovo Trattato sulla Valutazione delle Aziende”, Egea (2009), pagina 84.

[27] Principio I.5.1 dei PIV.

[28] Principio I.5.7 dei PIV.

[29] L. Guatri, M. Bini, “Nuovo Trattato sulla Valutazione delle Aziende”, Egea (2009), pagina 38.

[30] Così è titolato il DPR 460/1996.

[31] S. Cerato, “Cessione d’Azienda: Applicazione dell’Imposta di Registro”, Edizioni Euroconference (2014).

[32] Articolo 2-ter, comma 2, D.L. 564/1994, istitutivo del Regolamento.

[33] Articolo 2 comma 4 DPR 460/1996.

[34] Cass. Sez. Unite, sentenza 18184/2013 citando Cass., Sez. Unite, sentenza 26635 del 18/12/2009; conferma anche Cass.Sez. Unite, sentenza 19667/2014.

[35] Cass. Sez. Unite, sentenza 18184/2013.

[36] A. Lovisolo, “L’osservanza del termine di cui all’art.12, 7° comma dello Statuto del Diritti del Contribuente, nell’Ottica del Principio del Contraddittorio”, Diritto e Pratica Tributaria n. 3/2015, pagina 410.

[37] Cass. Sez. Unite, sentenza 18184/2013.

[38] Art. 10 co. 3-bis della L. 146/98.

[39] In primis le sentenze delle Sezioni Unite depositate il 18/12/2009 n. 26635, n. 26636, n. 26637 e n. 26638.

[40] Cfr Circolare 19/E del 14/4/2010, che ribadisce tra l’altro come la centralità del contraddittorio preventivo fosse già stata sottolineata nella Circolare 5/E del 23/1/2008.