Uno Sguardo alla Direttiva Madre-Figlia
Da “Il Commercialista Veneto” n. 228.
1 Introduzione
Le imposte sono trattate alla stregua di meri costi da parte degli agenti economici. Di conseguenza, incidono nelle scelte di localizzazione di un’attività da parte delle aziende. In altre parole, hanno effetti distorsivi sul mercato. Per eliminare (o, almeno, mitigare) alcune delle barriere o distorsioni che possano nuocere al Mercato Unico, il Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (UE)[1] prevede la possibilità di emettere all’uopo specifiche direttive. La Direttiva “Madre-Figlia”[2] è uno degli esempi[3] (se non “la pietra miliare”[4]) di come l’UE cerchi di limitare[5] l’effetto-deterrente della tassazione nazionale nell’ambito delle libertà fondamentali.[6] Lo scopo è porre nelle stesse condizioni gruppi societari di Paesi Membri “terzi” rispetto a gruppi societari domestici, [7] “e facilitare così il raggruppamento di società su scala comunitaria.”[8] Tale effetto è ottenuto esentando o garantendo un credito di imposta per gli utili ricevuti dalla società madre,[9] esentando al contempo da ritenute alla fonte, nel paese d’origine, gli utili distribuiti.[10]
2 Ambito oggettivo
La Direttiva si applica sia nello stato-fonte che nello stato di destinazione, e riguarda la “distribuzione di utili” intragruppo. Si ritiene che tale accezione abbia un significato più vasto di “distribuzione di dividendi”[11], anche in considerazione del fatto che la stessa Direttiva 2011/96/EU, al punto (3) del preambolo, parla di “dividendi e altre distribuzioni di utili”. La dottrina prevalente, quindi, anche per l’assenza di esplicito riferimento alla normativa domestica su questo tema, pare optare per una autonoma definizione Europea del termine.[12] Al riguardo, è ancora dibattuta l’inserimento o meno in tale concetto dei dividendi ricaratterizzati a seguito, ad esempio, di norme CFC, aggiustamenti secondari in tema di transfer pricing[13] o regole di contrasto alla thin-capitalization. Questo tema, seppure interessante, esula dallo scritto.
Ciò che è invece espressamente prevista è la non applicabilità dell’esenzione in capo alla società-madre qualora la distribuzione di utili avvenga a seguito di liquidazione: alcuni Stati Membri, infatti, trattano i proventi da liquidazione come capital gain. Se non fossero stati esclusi esplicitamente, tali Stati Membri avrebbero dovuto modificare la normativa interna per adattarla ai dettami della Direttiva.[14]
La gerarchia delle fonti vede però prevalere la legge europea sulla normativa interna. Ne consegue che l’affidamento alla definizione presente nella norma nazionale viene comunque meno quando è la stessa legge europea a dare una definizione. Ciò può avvenire anche se la definizione è presente in una Direttiva diversa: nel caso Punch Graphix Prepress Belgium NV[15] la Corte di Giustizia Europea ha infatti chiarito che la nozione di “liquidazione” ai sensi dell’articolo 4(1) della Direttiva Madre-Figlia non ricomprende l’esito dello scioglimento di una società nell’ambito di una fusione.[16] La Corte è giunta a tale conclusione analizzando la Direttiva 90/434 sulle fusioni, che definisce la fusione come “operazione mediante la quale una società trasferisce, a causa e all’atto dello scioglimento senza liquidazione, la totalità del proprio patrimonio.”[17] Per la Corte dunque esiste un nesso tra le due Direttive, dedotto dal loro oggetto comune di disciplinare forme diverse di cooperazione transnazionale delle società.[18] In conseguenza di ciò, tali direttive costituiscono un tutt’uno e si completano a vicenda.[19]
3 Ambito soggettivo
Società di uno stato membro
Non tutte le “distribuzioni di utili” accedono al beneficio. Innanzi tutto, soltanto le distribuzioni tra “società di uno stato membro” possono godere dell’esenzione della Direttiva. Per rientrare in tale dizione l’articolo 2 prevede tre requisiti da soddisfare in toto. Il primo requisito è che le società abbiano una delle specifiche forme giuridiche elencate nell’Allegato I.A.[20] della Direttiva. La ratio di fondo è semplificativa, e mira ad evitare i potenziali conflitti esistenti tra le normative civilistiche dei vari Stati Membri.[21] La tassatività o meno dell’elencazione va considerata caso per caso,[22] poiché alcuni punti dell’elenco prevedono espressamente le denominazioni ammesse (liste chiuse, ad esempio l’Ungheria o Repubblica Ceca), mentre altri sono più generiche (liste aperte, Inghilterra) o contengono una clausola “residuale” (ad esempio per l’Italia “enti pubblici e privati la cui attività è totalmente o principalmente commerciale”). Come la Corte ha avuto modo di confermare, quando dalla lettura della lista non si desume esplicitamente che l’elenco ha carattere meramente esemplificativo, il principio di certezza del diritto vieta di applicare un’interpretazione in via analogica,[23] e ciò resta valido anche se una data tipologia societaria prima assente viene successivamente inclusa.
Il secondo requisito è che la società di uno Stato Membro sia ivi residente (ad esempio, registrata), e non sia considerabile non residente in conseguenza di un trattato contro le doppie imposizioni[24]: così ad esempio, in presenza di un trattato contro le doppie imposizioni, una Spa Italiana con sede di direzione effettiva in uno stato non-membro perderebbe i benefici della Direttiva, così come una società con sede in uno stato non membro con direzione effettiva in Italia, in quanto avente una forma societaria non prevista dalla direttiva. Accedono invece ai benefici della Direttiva le società con doppia residenza in paesi dell’UE, a prescindere dalla presenza di un trattato. Si ritiene possano accedere al beneficio anche le società con doppia residenza UE/Non-UE in assenza di trattato: avendo comunque lo Stato Membro potestà impositiva, non possono sorgere problematiche elusive.[25]
Il terzo requisito è che la società residente inclusa nell’elenco sia assoggettata, senza possibilità di opzione di tassazione per trasparenza, a una delle imposte elencate nell’allegato I.B. Al riguardo, nonostante alcuni dubbi, si ritiene che per “assoggettato a imposta” si intenda entità che realizzano il presupposto impositivo, escludendo quindi che ci si riferisca, come alcuni Stati Membri ritengono, a entità che subiscono un’effettiva tassazione.[26]
La necessità di garantire lo stesso trattamento[27] riservato alle società residenti comporta l’applicazione della Direttiva anche alle distribuzioni di utili effettuate o ricevute da stabili organizzazioni (SO) di società situate in un altro Stato Membro. Per tali SO restano validi i requisiti di cui si è accennato anteriormente.
Società madre
Come detto, la direttiva intende esentare dalle ritenute alla fonte i dividendi e altre distribuzioni di utili pagati dalle società figlie alle proprie società madri ed eliminare la doppia imposizione su tali redditi a livello di società madre.[28] Secondo l’articolo 3.1(a), si è considerati “società madre” almeno con la detenzione di una partecipazione minima del 10% della partecipazione di una società di un altro stato membro. Si ritiene che i lemmi “almeno” e “minima” suggeriscano che gli Stati Membri possano prevedere solamente requisiti meno rigorosi,[29] ma non più stringenti rispetto alla Direttiva.[30] Per quanto riguarda il computo della soglia minima, si ritiene che vadano incluse solo le partecipazioni dirette, anche se dalla lettura di alcuni documenti ufficiali[31] è probabile una futura apertura nei confronti delle partecipazioni indirette.
La Corte di Giustizia ha avuto modo di esporsi su cosa si intendesse per “detenzione della partecipazione” nel caso belga Les Vergers du Vieux Tauves,[32] affermando come esso fosse un termine da analizzare in funzione del rapporto giuridico intercorrente tra la società madre e la società figlia,[33] in un’ottica prettamente civilistica:[34] ciò porta ad escludere l’applicabilità della Direttiva all’usufruttuario, [35] poiché il dividendo non viene percepito “nella sua veste di socio” ma, appunto, nella veste di avente diritto ai frutti. La Corte ricorda comunque che, pur non applicandosi la Direttiva al caso di usufrutto, la normativa interna deve comunque rispettare le fonti primarie del diritto comunitario, ossia le libertà fondamentali. Ne deriva che, se in una situazione puramente interna (es. tra due società residenti), la legge prevede che i dividendi ricevuti dall’usufruttuario siano esenti, parimenti dovranno esserlo i dividendi ricevuti a seguito di usufrutto in una situazione transfrontaliera (es., tra una società residente, e una residente in un altro Stato Membro): la motivazione andrà cercata non tanto nella Direttiva Madre-Figlia, cui l’usufrutto appunto non si applica, ma nel principio di non discriminazione derivante dalle libertà di circolazione previste dal Trattato, che non permettono di riservare a dividendi di origine estera un trattamento meno favorevole rispetto a quello riservato ai dividendi di origine nazionale, a meno che questa differenza di trattamento riguardi situazioni non oggettivamente comparabili o sia giustificata da ragioni imperative di interesse generale [36]
4 Effetti della direttiva
Come accennato, lo Stato della società Madre può scegliere se esentare gli utili ricevuti o tassarli previa attribuzione di un credito sulle imposte pagate dalle figlie.[37] In caso di adozione del metodo del credito d’imposta, la Direttiva chiarisce che esso va calcolato tenendo in considerazione non solo le imposte pagate dalla diretta controllata, ma anche quelle delle sub-affiliate che soddisfino i requisiti della Direttiva. Al riguardo, si ritiene che la partecipazione della società madre nella sub-affiliata non debba necessariamente detenere la partecipazione minima, essendo sufficiente che detenga almeno il 10% nella società figlia, e che quest’ultima a sua volta detenga almeno il 10% della sub-affiliata.
La Direttiva, per evitare casi di deduzione di costi a fronte di non-tassazione di ricavi correlati, ha previsto la possibilità di rendere indeducibili gli oneri e le minusvalenze relative alla partecipazione sia in maniera esplicita che, onde evitare eccessivi oneri contabili, in maniera forfetaria.[38] In quest’ultimo caso, l’importo determinato forfettariamente non può superare il 5% degli utili distribuiti.
Nondimeno, gli utili distribuiti da una società figlia alla sua società madre sono esenti dalla ritenuta alla fonte sia nel paese d’origine[39] che nello Stato di destinazione.[40] Il termine “ritenuta alla fonte”, però, non trova definizione nella Direttiva, se non in negativo: non è certamente ritenuta alla fonte un acconto sulle imposte delle società effettuato in concomitanza con la distribuzione degli utili. La giurisprudenza comunitaria viene nuovamente in aiuto, chiarendo come vi sia “ritenuta alla fonte” rispettate tre condizioni: 1) il presupposto dell’imposta deve essere la distribuzione di utili; 2) la base imponibile deve essere l’importo erogato; 3) il debitore d’imposta deve essere il detentore della partecipazione.[41]
4 Clausole anti-abuso
In tema di contrasto a frodi ed abusi, la Direttiva rimanda agli Stati Membri, con l’articolo 1.2, la possibilità di ricorrere a disposizioni nazionali,[42] e prevede all’articolo 3.2.b la possibilità di applicare la Direttiva a partecipazioni detenute per un periodo minimo, che può essere al massimo di due anni.[43] È da notare che da consolidata giurisprudenza siffatte disposizioni nazionali antiabuso debbano essere innanzitutto espressamente previste,[44] nonché finalizzate al contrasto di costruzioni di puro artificio, rispettando al contempo in maniera proporzionata[45] sia i princìpi della Direttiva che le libertà fondamentali. In quest’ottica, non è necessario che il periodo di possesso minimo di cui all’articolo 3.2.b sia già trascorso al momento della distribuzione degli utili, ma è sufficiente che si avveri anche in seguito.[46]
5 Gli effetti del BEPS: i recenti emendamenti alla direttiva
Seguendo il percorso tracciato sia dalla Commissione, nella sua Raccomandazione sulla Pianificazione Fiscale Aggressiva,[47] sia dal progetto volto al contrasto del Base Erosion and Profit Shifting (BEPS) capitanato dall’OCSE,[48] la Direttiva è stata recentemente arricchita di un clausola c.d. “subject-to-tax”[49] per prevenire casi di utilizzo di strutture e/o entità “ibride” per l’accesso ai benefici della Direttiva, oltre che di una clausola generale anti-abuso.[50] La clausola subject-to-tax introdotta è mirata agli Stati Membri che utilizzano il metodo dell’esenzione, e prevede non solo la non applicabilità dei benefici della Direttiva in caso di deducibilità in capo alla società figlia degli utili distribuiti, ma anche un esplicito obbligo di tassazione di tale distribuzione in capo alla società madre.
La clausola generale anti abuso segue in parte il “principal purpose test” incluso nella proposta dell’OCSE per il contrasto all’utilizzo indebito dei trattati contro le doppie imposizioni di cui al BEPS Action Plan 6. Infatti, entrambi disconoscono i benefici a “costruzioni” poste in essere allo scopo o a uno degli scopi principali di ottenere un vantaggio fiscale in contrasto con l’oggetto o finalità della direttiva/trattato. La Direttiva, però, rispetto alla proposta dell’OCSE, fa esplicito riferimento alla genuinità della “costruzione”, ossia alla sua posta in essere per valide ragioni che riflettono la realtà economica, richiamando alla dottrina dell’abuso del diritto introdotta dalla Corte di Giustizia. Questo richiamo, ancorché esplicito, è in ogni caso superfluo: come già accennato, essendo la Direttiva normativa secondaria, sottostà in ogni caso ai principi generali dell’ordinamento europeo. Leggendo la clausola generale anti abuso sotto le lenti di tale principio, si nota come l’ambito di applicazione sia ben più ristretto sia rispetto alla proposta dell’OCSE, che a quanto enunciato dalla Direttiva stessa. Ad esempio, l’essere sufficiente che il vantaggio fiscale sia uno degli scopi principali della costruzione è verosimilmente non proporzionale anche alla luce delle sentenze più recenti.[51]
[1] TFUE, Articolo 115 e ss.: “[…] il Consiglio […] stabilisce direttive volte al ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative degli Stati membri che abbiano un’incidenza diretta sull’instaurazione o sul funzionamento del mercato interno”.
[2] Council Directive 90/435/CEE e ss. modifiche, nella ultima versione consolidata, disponibile sul seguente sito:
http://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=CONSLEG:2011L0096:20130701:IT:PDF.
[3] Quali la “Interests and Royalties Directive” (2003/49/EC) o la “Merger Directive” (90/434/EEC).
[4] Thomas Eicke, Tax Planning with Holding Companies – Repatriation of US Profits from Europe: Concepts, Strategies, Structures, Kluwer Law International (2009), pagina 125.
[5] Jonathan Schwarz, “Double Taxation in the European Single Market”, Bulletin for International Taxation (2012), pagina 296.
[6] La rilevanza ai fini dell’individuazione della libertà fondamentale applicabile derivante dall’abbassamento della soglia minima di partecipazione al 10% esula dai fini di questo breve scritto.
[7] Vedasi I punti da (4) a (6) del preambolo della Direttiva 2011/96/EU. Ciò è stato ribadito anche dalla Commissione in: COM(2013) 814 final, “Proposal for a Council Directive amending Directive 2011/96/EU on the common system of taxation applicable in the case of parent companies and subsidiaries of different Member States”, pagina 4.
[8] Causa C-292/94, Denkavit, paragrafo 22.
[9] Articolo 4(1)
[10] Articolo 5.
[11] Marjaana Helminen, The International Tax Law Concept of Dividend, Kluwer Law International (2010), pagina 61.
[12] Guglielmo Maisto, Taxation of Intercompany Dividends Under Tax Treaties and EU Law, IBFD (2012), pagina 362.
[13] Guglielmo Maisto, “The 2003 Amentments to the EC Parent-Subsidiary Directive: What’s Next?”, EC Tax Review (2004), pagina 177.
[14] Dennis Weber, Guglielmo Maisto, “EU Income Tax Law: Issues for the Years Ahead”, IBFD (2013), pagina 16.
[15] Caso 18 ottobre 2012, C-371/11, Punch Graphix Prepress Belgium NV.
[16] Caso C-371/11 Punch Graphics Prepress, paragrafo 37.
[17] Id. paragrafo 33.
[18] Id., paragrafo 35.
[19] Id.
[20] Per quanto riguarda l’Italia, sono incluse “le società di diritto italiano denominate «società per azioni», «società in accomandita per azioni», «società a responsabilità limitata», «società cooperative», «società di mutua assicurazione», nonché gli enti pubblici e privati la cui attività è totalmente o principalmente commerciale”. Allegato 1.A.l)
[21] Dennis Weber, Guglielmo Maisto, “EU Income Tax Law: Issues for the Years Ahead”, IBFD (2013), pagina 4.
[22] Caso 1 ottobre 2009, C-247/08 Gaz De France, paragrafo 31
[23] Id., paragrafo 38-43.
[24] Articolo 2(a)(ii).
[25] Marjaana Helminen, EU Tax Law: Direct Taxation, IBFD (2011), pagina 145.
[26] Dennis Weber, Guglielmo Maisto, “EU Income Tax Law: Issues for the Years Ahead”, IBFD (2013), pagina 10.
[27] Pietra miliare è il Caso 21 settembre 1999, C-307/97 Saint Gobain. Vedasi Hans van den Hurk, “Did the ECJ’s Decision in Saint-Gobain Change International Tax Law?”, Bulletin for International Taxation (2001).
[28] Preambolo della Direttiva 2011/96/EU, punto (3).
[29] Gabriël Moens, John Trone, Commercial Law of the European Union, Springer (2010), pagina 242.
[30] Vedasi la procedura di infrazione 2007/4333 nei confronti del Belgio, il quale aveva previsto l’obbligo di indicazione della partecipazione tra le immobilizzazioni finanziarie.
[31] Il più evidente dei quali è il punto (9) del preambolo della proposta di Direttiva COM/2011/0714 definitiva che modifica la Direttiva Interessi e Canoni.
[32] Caso 22 dicembre 2008 C-48/07, Les Vergers du Vieux Tauves.
[33] Id., paragrafo 38.
[34] Mario Tenore, “Taxation of dividends: A comparison of selected issues under article 10 OECD MC and the Parent-Subsidiary Directive”, Intertax (2010), pagina 228.
[35] C-48/07, Les Vergers du Vieux Tauves, paragrafo 39.
[36] Id., paragrafo 46-47.
[37] Articolo 4.1 della Direttiva.
[38] Articolo 4.3 della Direttiva.
[39] Articolo 5 della Direttiva.
[40] Articolo 6 della Direttiva.
[41] Si vedano il caso C-375/98 – EPSON, il caso C-294/99 – Athinaiky Zythopoiia, il caso C-58/01 – Océ van der Grinten, e il caso C-284/06 – Burda.
[42] Articolo 1(2) della Direttiva.
[43] Articolo 3.2.(b).
[44] Si vedano i casi Kofoed (C-321/05), Zwijnenburg (C-352/08) e Foggia (C-126/10).
[45] Caso C-196/04, Cadbury Schweppes.
[46] Cause riunite C-283/94, C-291/94 e C-292/94, paragrafo 32.
[47] COM(2012) 8806 Final.
[48] Vedasi OCSE (2013) – Action Plan on Base Erosion and Profit Shifting; OCSE (2014), Explanatory Statement, OECD/G20 Base Erosion and Profit Shifting Project, OECD Publishing; OCSE (2014), Preventing the Granting of Treaty Benefits in Inappropriate Circumstances, OECD/G20 Base Erosion and Profit Shifting Project, OECD Publishing; OCSE (2014), Neutralising the Effects of Hybrid Mismatch Arrangements, OECD/G20 Base Erosion and Profit Shifting Project, OECD Publishing.
[49] Nuovo Articolo 4.1 della Direttiva, così come modificato dalla Direttiva 2014/86/UE.
[50] Nuovo Articolo 1(2) della Direttiva, così come modificato dalla Direttiva 2015/121/UE.
[51] Si veda il caso C-653/11 Newey.